NUOVE DE-CENTRALITÀ

Avrei voluto entrare nell’anima di questi quartieri, ma ho dovuto per il momento cambiare il mio fuoco verso il non uomo, e fotografare l’esoscheletro e l’assenza dell’uomo e del sociale, perché quello che più risulta dai miei ripetuti sopralluoghi è la sola e preponderante presenza del mattone, informe e vuoto, come vuota è la vita culturale in questi quartieri che chiamano “nuove centralità”, veri e propri dormitori che al di fuori delle pareti di casa risultano inospitali, fatiscenti e assurdi per la grande assenza di servizi e di vita sociale. L’esile  “cura del ferro” per ora non funziona, non rende questi quartieri meno isolati e sconosciuti ai non residenti, con le sole eccezioni causate dai centri commerciali, unici luoghi d’incontro insieme ai bar, per mancanza di piazze e di un centro. La natura circostante risulta deturpata e ispida come un gatto malato, non viene affatto valorizzata, l’ambiente agro-pontino nonostante l’importanza storica ed archeologica viene divorato dal cemento, all’interno delle “nuove centralità” spesso le aree verdi sono maltenute e ai bordi delle strade è pieno di rifiuti. Un capitolo a parte è da riservare a coloro che vivono ai margini di questi quartieri e che ho avuto modo di osservare, ma questa è materia per un altro progetto da sviluppare.

Ho preso in considerazione la zona a sud di Roma, un triangolo che mi diverto a denominare “delle permute” (Torrino-Mezzocammino, Eur-Castellaccio e Tor Pagnotta2) perché quello che più è evidente è che la speculazione edilizia così aggressiva com’è in questo momento, è resa possibile dall’ultimo piano regolatore e dai vari accordi di programma che porteranno giovamento a qualcuno, ma non portano nessun vantaggio al cittadino. In pochi ettari abbiamo tre esempi di “nuove de-centralità”. 

© Rachele Gigli

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Oiseaux rares

Impossibile rimanere indifferenti ai fittissimi stormi che si coordinano in volo sui cieli di Roma in alcuni periodi dell’anno. È facile riconoscere grandi figure in movimento, come con le nuvole, come un teatro delle ombre. In questo progetto ho seguito gli storni fino al loro “rientro alla base” su alberi e tralicci dove, più che altrove, mi ha stupito osservare il loro modo di comunicare e di organizzare la loro numerosa comunità.

© Rachele Gigli